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L’uomo che ha vissuto in un aeroporto per 18 anni: la storia vera dietro il film The Terminal

Una vicenda surreale ma autentica, quella di Mehran Karimi Nasseri: un uomo senza patria che ha trascorso quasi due decenni all’interno dell’aeroporto Charles de Gaulle di Parigi, ispirando il celebre film di Spielberg.

Un limbo tra cielo e terra: la vita in un terminal

Nel 1988, Mehran Karimi Nasseri arrivò all’aeroporto Charles de Gaulle con l’intento di volare nel Regno Unito. Ma la sua documentazione era incompleta e le autorità britanniche lo rimandarono in Francia. Purtroppo, anche lì non fu accettato: le sue carte d’identità erano andate perdute e nessun Paese sembrava disposto a riconoscerlo.

Da quel momento, la sua esistenza si trasformò in una permanenza forzata nel Terminal 1 dello scalo parigino. Non poteva uscire dall’aeroporto perché non possedeva documenti validi, né poteva essere espulso: non c’era alcun luogo disposto ad accoglierlo legalmente.

Con il tempo, Nasseri si costruì una routine. Dormiva su una panca rossa, faceva la barba nei bagni pubblici, si nutriva grazie all’aiuto del personale aeroportuale e dei passeggeri. Il suo aspetto ordinato e la compostezza lo resero una presenza familiare per chi transitava da Parigi.

La sua storia divenne un caso internazionale, attirando l’attenzione di giornalisti, giuristi e registi. Il suo status giuridico incerto poneva interrogativi importanti sul concetto stesso di cittadinanza e di diritti umani.

Un uomo senza patria e l’eco cinematografica

Mehran Karimi Nasseri, nato in Iran, aveva perso ogni riferimento legale con il proprio Paese d’origine dopo aver partecipato a manifestazioni contro il regime dello Shah. L’asilo politico gli era stato concesso dal Belgio, ma nella confusione burocratica aveva smarrito i documenti originali.

Nel 1999, dopo 11 anni di permanenza forzata, le autorità francesi gli offrirono finalmente la possibilità di regolarizzare il soggiorno. Inaspettatamente, Nasseri rifiutò: voleva viaggiare nel Regno Unito, dove sosteneva di avere radici familiari. Inoltre, nel frattempo aveva sviluppato una sorta di attaccamento psicologico al terminal, che ormai considerava casa.

La sua vicenda ispirò Steven Spielberg per il film The Terminal (2004), con Tom Hanks nei panni di un passeggero dell’Est Europa bloccato in un aeroporto statunitense. Sebbene la pellicola romanzasse molti aspetti, l’essenza della storia – l’impossibilità di uscire da un non-luogo, restava fedele alla realtà di Nasseri.

Negli anni successivi, l’uomo visse tra ospedali e centri di accoglienza, fino a fare ritorno (ironia della sorte) proprio al Charles de Gaulle, dove fu nuovamente trovato nel 2022, prima della sua morte avvenuta nel novembre dello stesso anno.

Una storia che sfida le definizioni di confine

Il caso di Mehran Karimi Nasseri ha messo in luce le fragilità dei sistemi di accoglienza europei e le contraddizioni giuridiche che colpiscono chi si trova in situazioni di apolidia. In un’epoca in cui il concetto di cittadinanza è centrale per l’accesso ai diritti fondamentali, la sua esperienza resta un monito potente.

Il terminal non era solo uno spazio fisico, ma una prigione senza sbarre e al tempo stesso un rifugio, dove Nasseri riuscì a mantenere dignità e identità, nonostante la perdita di ogni riconoscimento ufficiale.

Molti esperti hanno descritto la sua storia come un caso emblematico di “invisibilità legale”: esistono esseri umani che non hanno patria, e che per questo scivolano fuori dai radar del diritto e della protezione sociale.

Carolina Valdinosi

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