Avvelenati anche i bambini: scatta il risarcimento immediato per chi vive in queste zone | ULTIM’ORA TRIBUNALE: chi ha sbagliato, pagherà

Bambina in ospedale (Depositphotos foto) - www.notiziesecche.it
Una sentenza senza precedenti scuote l’Italia: famiglie risarcite dopo anni di silenzi, accuse pesanti e battaglie civili.
Da anni si parlava, si sussurrava… ma pochi ascoltavano davvero. In alcune zone d’Italia l’aria, l’acqua, perfino la terra hanno iniziato a raccontare una storia diversa: una storia fatta di silenzi, proteste inascoltate e domande rimaste sospese. Genitori, comitati, attivisti: tutti hanno provato a farsi sentire, ma la risposta è sempre stata incerta, a volte inesistente. Solo una cosa era chiara a tutti: qualcosa non andava.
Negli ultimi anni, il tema ambientale ha smesso di essere roba da esperti. È diventato qualcosa che ci tocca da vicino, ogni giorno. L’acqua del rubinetto, il parco dove portiamo i nostri figli, i cibi che compriamo. Tutto ci ricorda che l’ambiente non è più un contorno, è il piatto principale. Sempre più persone hanno iniziato a farsi domande, a pretendere controlli seri, trasparenza e regole chiare.
Tanta gente comune, in silenzio, ha lottato. Madri, padri, ragazzi. Hanno studiato, raccolto prove, coinvolto esperti. Hanno mostrato che non si può restare indifferenti davanti a certi numeri, a certe analisi. E non si tratta solo di chimica o tossicologia: si tratta di fiducia tradita, di paure che non dovrebbero esistere. Soprattutto quando riguardano i più piccoli.
Quando poi le istituzioni iniziano a rispondere allora si capisce che qualcosa si sta muovendo. Che forse non è tutto perduto. Alcune sentenze, lo sappiamo, arrivano tardi. Ma quando arrivano, possono cambiare tutto. Non solo per chi ha vissuto l’incubo, ma per chi verrà dopo. Ed è proprio lì che sta la differenza: nel trasformare una battaglia individuale in un segnale collettivo. Forte. Inevitabile.
Una storia lunga, tra tribunali e carte bollate
Come riporta quifinanza.it, il punto di svolta — almeno dal punto di vista legale — è arrivato nel 2021, quando è partito il processo che ha messo sul banco degli imputati 11 ex dirigenti dell’azienda chimica Miteni. Dall’altra parte dell’aula c’erano loro: 300 famiglie. Persone reali, con storie e nomi. Non numeri. Il tribunale di Vicenza ha parlato chiaro: 141 anni di carcere in totale, con accuse pesanti come avvelenamento delle acque, disastro ambientale, gestione illecita di rifiuti. E anche bancarotta fraudolenta, tanto per non farsi mancare nulla.
La vicenda, però, parte da lontano. Era il 2013 quando uno studio ha svelato che nelle falde acquifere tra Verona, Padova e Vicenza c’era qualcosa che non doveva esserci: i PFAS, sostanze chimiche “eterne”, che non si degradano e si accumulano nel corpo. Si parlava di 300.000 persone potenzialmente coinvolte. Da lì, è iniziata una catena di eventi che, tra perizie, udienze e testimonianze, ha portato a una sentenza che oggi fa rumore. E fa scuola.

Il sangue dei figli e il coraggio delle madri
In tutto questo, le vere protagoniste sono state loro: le Mamme No PFAS. Un gruppo di madri che ha deciso di non stare zitto. Durante i processi si sono presentate con magliette forti, difficili da ignorare, con scritte tipo: “Stai avvelenando mio figlio”. E dietro quella frase c’erano i numeri: 66, 145, anche 300 ng/mL di PFOA nel sangue dei bambini. Non c’è un limite ufficiale considerato sicuro, ma uno studio USA del 2022 suggeriva di stare sotto i 2 ng/mL. Qui siamo centinaia di volte sopra.
Il tribunale ha riconosciuto tutto questo. E ha deciso di agire. 300 famiglie riceveranno un risarcimento immediato, a fronte dei danni subiti. Non è solo una questione di soldi, ovviamente. È un riconoscimento. Un precedente importante. Tanto che in Europa, dove casi simili sono ancora fermi, qualcuno spera che questa sentenza diventi un modello. Come in Belgio, a Zwijndrecht, dove un impianto della 3M ha causato contaminazioni simili, ma nessuno — per ora — ha pagato.